Blog

Dozzine di articoli. Migliora il tuo stile di vita Ora!

epistemologia psicoanalitica

Problemi di Epistemologia psicoanalitica

Introduzione: di Floriana De Michele

raccolta di epistemologia

Nel 1896 Freud, richiamandosi ancora a Charcot e sottolineando la propria divergenza da Janet, delineò la sua nuova classificazione delle nevrosi, distinguendole in nevrosi attuali – che traggono origine dalla vita sessuale presente – e psiconevrosi – che si originano, invece, dalla vita sessuale passata. Fu proprio in questa occasione che Freud non parlò più di analisi psicologica e chiamò, per la prima volta, il proprio metodo “psicoanalisi”. Nell’intenzioni del suo creatore la psicoanalisi voleva essere nient’altro che una scienza; tuttavia, una serie di ambigue affermazioni sulla filosofia ne inquinarono immediatamente lo status epistemologico. La disputa sulla natura e l’estensione della psicoanalisi, creatasi tra i discepoli di Freud, ne dimostrava l’instabilità della struttura e, quindi, poneva la prima fondamentale esigenza: quella di si-stematizzare la disciplina. La psicoanalisi era, forse, una filosofia? Alla risoluzione di questo problema il maestro dedica la trentacinquesima lezione, ed essa rapprsenta il suo tentativo più maturo ed elaborato di dare alla psicoanalisi uno status indipendente dalla filosofia. Per Freud scienza, filosofia e religione sono delle visioni generali del mondo, delle ‘Weltanschauung”; ognuna di esse ha la pretesa dell’esclusività, nell’esposizione della verità e nella proprietà dei mezzi usati per l’acquisizione di questa. Ognuna di esse, quindi, è incompatibile con le altre “Weltanschauung”. La scienza, però, è la sola che possa contenere la verità, in quanto, facendo uso dello “spirito critico”, insieme con lo “spirito scientifico”, è capace di elaborare delle metodologie rigorose e delle procedure di osservazione e di controllo, tali da garantire il raggiungimento della realtà, così come è, e, quindi, della verità. La psicoanalisi “come scienza particolare, come ramo della psicologia – psicologia del profondo – è totalmente inadatta a crearsi una propria weltanschauung: deve accettare quella della scienza” . Scrive ancora Freud concludendo la lezione: “È incapace di crearsi una sua particolare Weltanschauung. Essa non ne ha bisogno, è parte della scienza e può aderire alla Weltanschauung scientifica”. Questo ribadisce che la distinzione tra psico-analisi e filosofia sta nel “metodo”: il metodo filosofico non si preoccupa direttamente del reale, se non per formare il concetto ed integrarlo nel sistema; il metodo scientifico, invece, agisce sul reale e, perciò, col non-integrabile perché discontinuo. E Freud procede, infatti, nella costruzione del sistema psicoanalitico, mettendone in evidenza, ogni qual volta è necessario, i punti oscuri coerentemente con la sua visione di scienza. Da allora non si è risolto il problema di considerare o meno la psicoanalisi come scienza. Esso, anzi, è riemerso costantemente nel dibattito scientifico; oggi, più che in passato, ci si domanda qual è il posto che la psicoanalisi occupa nel campo delle scienze. Sono emersi due tipi di impostazione epistemologica con i quali si affronta la scientificità della psicoanalisi: il positivismo logico e l’ermeneutica. È a questi che la psicoanalisi deve il proprio futuro? Quali altre prospettive sono aperte?

La struttura dell’asserto psicoanalitico: La psicoanalisi non è più solo quella Freudiana

La teoria psicoanalitica riguarda essenzialmente lo sviluppo e il funzionamento mentale dell’uomo ed è ancora indissolubilmente legata al nome di Sigmund Freud, che ne tracciò il corso dello sviluppo e fu l’unico responsabile delle principali revisioni. Nel 1922 Freud scrive in “L’Io e l’Es” che lo “scibbolet” della psicoanalisi, ovvero il suo presupposto fondamentale è: ” la distinzione dello psichico in ciò che è cosciente e ciò che è inconscio” e la coscienza può considerarsi come “una delle qualità dello psichico, che può aggiungersi ad altre qualità ma che può anche rimanere assente”. Oggetto della psicoanalisi è, dunque, l’inconscio. Precedentemente Freud aveva annunciato un altro principio fondamentale, conosciuto come “principio del determinismo psichico, o della causalità” , per il quale nella mente nulla avviene per caso o in modo slegato, ma ogni evento psichico è determinato dagli eventi che lo hanno preceduto. Nel 1901, infatti, Freud aveva scritto: “Certe insufficienze delle nostre prestazioni psichiche e certe azioni che appaiono non intenzionali, risultano, se si applica loro il metodo dell’indagine psicoanalitica, come ben motivate e determinate da motivi ignoti alla coscienza”. Questi due principi sono intimamente interconnessi e tutta l’opera dell’autore – sia la parte dedicata alla clinica, che ha per oggetto un caso presentato sotto forma di resoconto di analisi o di autoanalisi (“Casi Clinici” e “L’interpretazione dei sogni”), sia la parte dedicata alla teoria, che tende ad esibire, illustrare il sistema inconscio – ha l’obbiettivo di dimostrarne le veridicità. In realtà, la contrapposizione tra opere cliniche e opere teoriche è artificiosa, poiché l’opera clinica di Freud non è mai unicamente tale, ma dimostra anche i meccanismi della nevrosi, come fa la cura stessa e l’analisi del nevrotico, del suo transfert e dei suoi sintomi; l’opera teorica, invece, viene illustrata da esempi clinici che dimostrano come il pensiero inconscio giustifica il sintomo. Prassi e teoria si incontrano nel momento scientifico dell’osservazione ed insieme portano Freud alla rielaborazione delle ipotesi che costituiranno il sistema psicoanalitico. “La via maestra che conduce alla conoscenza dell’inconscio” è, secondo Freud, il sogno: Esso, come il sintomo nevrotico, non viene più considerato una produzione difettosa della vita subcosciente, ma un’attività importante della vita psichica. Freud, quindi, rompendo con gli schemi del pensiero scientifico seguito fino ad allora, assegna al sogno uno status scientifico e teorico; conseguentemente, attraverso il riconoscimento di un linguaggio latente dietro un linguaggio manifesto, innalza l’inconscio a sistema. Scrive Freud. “la psicoanalisi è la tecnica che permette “l’interpretazione”. Io sostengo che il sogno ha un significato e che esiste un metodo scientifico per interpretarlo. Studio da parecchi anni, per scopi terapeutici, un certo numero di processi psicopatologici, quali le psicosi isteriche e le ossessioni. Mi ci sono applicato particolarmente da quando una importante comunicazione di S. Breuer ha dimostrato che, per questi fenomeni psicologici considerati sintomi morbosi, la spiegazione coincide con la guarigione”. L’autore sostiene, così, che l’interpretazione del sogno sia analoga a quella del sintomo e che il sogno, in realtà, rappresenta una delle associazioni che ne permette la spiegazione. Freud, infatti, scrive ancora: “durante questi studi psicoanalitici sono stato indotto ad occuparmi dell’interpretazione dei sogni. I malati che obbligavo a comunicarmi tutto ciò che passava loro per la mente su un determinato argomento, mi raccontavano i loro sogni. In tal modo mi hanno insegnato che un sogno può essere inserito nella successione degli stati psichici, ritrovandolo nei nostri ricordi a partire dall’idea patologica”. L’interpretazione del sogno permetterà l’interpretazione del sintomo e la tecnica utilizzata è “l’associazione libera”. Tale tecnica si basa sullo sfruttamento dello “stato di attenzione fluttuante”, il cui risultato è la produzione di “pensieri non voluti” sono come quelli del sogno, o come il sintomo; il paziente tende ad escluderli, ma essi hanno una loro forza e, quindi, s’impongono da soli. Il sintomo, come il sogno, è la realizzazione di un desiderio inconscio: “L’inconscio non ha altro scopo che la realizzazione del desiderio, non ha altre forze che quelle degli impulsi del desiderio”. L’inconscio, dunque, si fonda anche su una energia psichica che introduce la quantità e l’opposizione di forze nello psichismo, la sua esistenza, cioè, è dimostrata anche dal suo funzionamento energetico e dinamico. Il rapporto coscienza-inconscio non consiste soltanto nell’opposizione tra contenuto manifesto e contenuto latente del sogno, tra sintomo e suo significato, ma anche nell’opposizione dinamica tra forze dell’inconscio e quelle della coscienza: “processo primario”, caratterizzato dal flusso libero dell’energia nell’inconscio, della tendenza alla soddisfazione immediata dell’impulso, e “processo secondario”, caratterizzato da energia legata al sistema coscienza-preconscio e che permette il controllo dell’impulso, ne costituiscono il risultato. Tra questi due sistemi opera la rimozione, il meccanismo che trattiene nell’inconscio le rappresentazioni represse, ne sono esempi l’oblio del sogno o/e l’amnesia del sintomo. “L’interpretazione dei sogni” segnerà l’abbandono del periodo cosiddetto prepsicoanalitico e del metodo catartico diventando l’opera centrale di Freud. Il suo settimo capitolo, infatti, è dedicato alla descrizione dello schema topologico dell’apparato psichico, che si ritroverà anche nel saggio su l’inconscio” del 1915. L’idea base di questa prima meta-psicologia è che una maggiore comprensione dei fenomeni psichici può derivare non solo dalla distinzione tra Conscio e Inconscio, ma anche dalla distinzione di questi dal Preconscio. Gli studi sulle perversioni sessuali e, soprattutto, sul narcisismo psicotico (“Introduzione al Narcisismo” 1914) conducono Freud alla ristrutturazione della teoria generale esposta in “Al di là del Principio del piacere” (1920). Questa è la fase della seconda meta-psicologia. Il conflitto intrapsichico è presente come nella prima fase, però non è più attivato dalla contrapposizione della pulsione (libido) agli “Interessi dell’Io” , ma dalla contrapposizione dell’Eros alla “pulsione di morte”. Nel 1923 con “L’Io e l’Es” inizia il periodo della “Psicologia dell’Io”. Nel 1925, in “Inibizione, sintomo e angoscia” , la rimozione non crea più angoscia, ma è l’angoscia di castrazione (angoscia, quindi, reale o comunque giudicata tale dal soggetto) a produrre la rimozione. La fase della seconda meta-psicologia si completerà con gli scritti successivi (“La nuova Serie di Lezioni” 1938 e il “Compendio di Psicoanalisi” , incompleto e postumo, 1938-1940). Con la seconda meta-psicologia i sistemi della prima topica vengono sostituiti con le istanze (Es, Io, Super-Io) della seconda:” L’apparato o il campo psichico è concepito quasi sul modello delle relazioni interpersonali. Questa teoria è quindi più vicina al modello fantasmatico secondo il quale ciascuno percepisce il proprio modo interiore… l’accento non è più posto sulle nozioni di rappresentanti o di tracce mnestiche, ma essenzialmente sulla nozione di conflitti tra istanze, oppure all’interno di una istanza (l’Io, all’occorrenza)” (BergeretJ.). . La teoria psicoanalitica, poi, è stata sviluppata o modificata in diverse direzioni dai discepoli di Freud, soprattutto dopo la morte del Maestro, quando si rese necessario affrontare il difficile compito di decidere circa il futuro sviluppo della disciplina. Attualmente, infatti, sarebbe sterile discutere del suo valore scientifico come sistema integrato: ” Questo sistema letteralmente non esiste, né freudiano né di altra denominazione. La difesa della psicoanalisi come teoria elaborata deduttivamente ed unificata, o il rifiuto totale di essa in quanto mitologica, sono atteggiamenti ugualmente privi di significato”(Grambich E W.) . Bisogna, quindi, tener conto che la teoria classica è strutturata in vari gruppi di ipotesi, varie sezioni o dimensioni teoretiche tutte collegate tra loro da una teoria di “Livello Superiore”: la metapsi cologia. Queste dimensioni teoretiche (teorie delle pulsioni, dei lapsus, dei sogni, dei vuoti di memoria, della psicopatologia, della struttura psichica e dello sviluppo) sono anche la base di un fervente sviluppo di scuole di pensiero psicoanalitico. Precedentemente alla prima guerra mondiale, C. Jung e A. Adler furono i primi a distaccarsi da Freud: Jung dette inizio alla tradizione psicodinamica conosciuta come “psicologia analitica” e Adler alla “psicologia individuale”. Tra le due guerre ebbero un forte sviluppo nuove dottrine e tradizioni psicoanalitiche. Una di esse assunse la posizione adleriana, rifiutando la teoria della libido di Freud e sottolineando, invece, l’importanza dei rapporti interpersonali e i compiti del bambino, dell’adulto rispetto a questi (Hornay e Sullivan ). Un’altra dottrina rimase fedele alla teoria della libido e accentuò l’importanza dell’Io, già, d’altra parte sottolineata dallo stesso Freud in un secondo tempo, per arrivare alla cosiddetta “psicologia dell’Io” (A. Freud e H. Hartmann). Hartmann si è dedicato, in particolar modo, al tentativo di far rientrare le funzioni dell’Io, (il pensiero, la percezione) all’interno di uno schema di tipo freudiano. Altri analisti hanno modificato in direzioni molto diverse la teoria di Freud: O.Rank riandò indietro nella storia, fino al trauma della nascita e ai conseguenti problemi di separazione. M. Klein indietreggiò fino alla primissima esperienza del lattante, quando questi divide mentalmente il seno in due: quello buono, che nutre, e quello cattivo, che frustra, creando un mondo di fantasie inconsce, relative agli oggetti nelle loro componenti e nelle loro interezze. W. Reich, invece, si era dedicato inizialmente a conciliare la teoria di Freud con quella marxista arrivando, per questa via, a rifiutare le opinioni, che riteneva fossero di Freud, riguardo alla rimozione della sessualità come condizione necessaria per lo sviluppo e la conservazione di una cultura civilizzata. Più tardi E. Fromm applico una sociologia di stampo marxista all’esplorazione delle interazioni tra le forze psicologiche dell’individuo e i diversi tipi di struttura sociale, interazioni che sfociano in diversi tipi di personalità. Dopo la seconda guerra mondiale si assiste ad un boom di psicoterapie di vario genere, psicodinamiche e non , e delle relative dottrine. In una ricerca pubblicata nel 1977 in “The American Journal of Psychiatry ” sono state individuate circa cinquanta diverse posizioni teoriche e terapie. Constatare, allora, che la psicoanalisi non è più quella freudiana e che questa non è più quella di Freud, significa riconfermare la grande difficoltà di attribuirle lo status scientifico che le è dovuto. Per chiarire la posizione della psicoanalisi come disciplina scientifica c’è bisogno, prima di tutto, di “una più chiara classificazione… e di un più elevato grado di sistematizzazione (che tengano conto di differenti livelli di elaborazione teorica), di quanto esistano oggi” (Hartmann H.).

La struttura dell’asserto scientifico: Il percorso reversibile tra spiegazione e revisione

Il tentativo di ricondurre tutte le discipline scientifiche al modello delle scienze naturali, in special modo alla fisica e alla matematica, e la particolare concezione della spiegazione scientifica collegano il positivismo alla storia delle idee di tradizione galileiana e ne determinano la fortuna. Infatti, i grandi risultati ottenuti nel campo della ricerca, proprio da quelle scienze che sono poste come modello, stimolano le diverse discipline scientifiche, nonostante la diversità dell’oggetto di ricerca, a misurarsi con esse. La psicoanalisi non ha potuto sottrarsi a questo processo di imitazione positiva delle scienze, soprattutto perché già il suo fondatore ( Freud per l’appunto) si era preoccupato di considerarla una “scienza della natura”. L’impostazione positivistica del pensiero vuole che la psicoanalisi venga intesa nell’unico modo in cui ritiene sia legittimo parlare di scienza, cioè come una scienza sperimentale, suscettibile di conferme o verifiche empiriche. È dubbio, però, fino a che punto questa impostazione di pensiero sia capace di render conto della realtà della psicoanalisi; sembra, infatti, che porti solo a valutazioni negative. Per esempio, Medawar ha affermato che la psicoanalisi, nel suo insieme, non si sostiene e che essa è “come un dinosauro o uno Zeppelin: sulle sue rovine non si potrà mai erigere una migliore teoria, che rimarrà per sempre uno degli eventi più tristi e più strani nella storia del pensiero del secolo ventesimo”; Popper, invece, è arrivato a definirla non controllabile, irrefutabile, non empiricamente falsificabile e, perciò, non scienza, semmai una pseudo scienza; e Nagel ritiene che “la teoria freudiana in generale e la meta-psicologia in particolare rilevino serie deficienze metodologiche” ; per finire, recentemente, Grumbaum afferma che “essa in questo momento non è in salute, almeno per quanto riguarda i suoi fondamenti clinici”. Affrontare il problema dello statuto epistemologico della psicoanalisi, assumendo esclusivamente il punto di vista delle scienze naturali, è, quindi, limitativo, se non altro, perché prevede solo due possibilità: una disciplina o è scienza o non lo è. Per il positivismo logico, dunque, “la scienza si sviluppa in forma organica e non addizionale: la struttura del sapere, conseguito attraverso il metodo scientifico, …consiste in una gerarchia di ipotesi che si assottiglia via via, ove le ipotesi più specifiche, le comuni deduzioni di collegamenti, giungono infine ad una struttura di asserzioni particolari sui dati di fatto. Perciò la struttura del sapere scientifico risulta in fin dei conti logico-deduttiva” (Medawan P.B.). Il possesso di tale scienza, cioè di un sapere così logicamente organizzato, è strumento indispensabile per investigare quei problemi che pongono domande verificabili sul piano empirico; ma, poiché i fenomeni sono concepiti come dipendenti dalle condizioni da cui essi hanno origine e si svolgono, l’indagine scientifica deve mirare alla spiegazione causale dei fenomeni naturali e non limitarsi alla loro descrizione. Popper scrive: ” scopo della scienza è quello di trovare spiegazioni soddisfacenti di tutto ciò che ci colpisce come bisogno di spiegazione”. Il vantaggio delle teorie sta nella possibilità di ricondurre i fatti che interessano entro linee omogenee ed interconnesse, sta, quindi nella possibilità di prevedere l’accadimento di eventi o risultati di esperimenti e di spiegare fatti che sono già stati osservati. Previsioni e spiegazioni possono essere considerate “come processi fondamentalmente identici del pensiero scientifico, e differiscono soltanto, per così dire, nella prospettiva temporale. La previsione è rivolta in avanti, da ciò che è a ciò che accadrà, la spiegazione, normalmente, è volta all’indietro, da ciò che è a ciò che è già accaduto. I termini della teoria previsionale e di quella esplicativa sono simili, come anche la relazione che li collega. I primi sono alcuni fatti, la seconda è una legge” (Whigt G.H.). La scienza si risolve, cosi, nello stabilire e generalizzare leggi, nel ricavarne delle previsioni, da verificare attraverso l’esperienza; nel comprendere (spiegare), quindi, gli eventi come prodotto delle loro cause. Perché si è verificato un evento? A causa di determinati precedenti eventi: è a questo rapporto diretto di causa-effetto che la scienza deve la propria giustificazione di essere. “La ricerca della causalità comporta tre tappe” (Piaget J.). La prima “consiste nello stabilire i fatti le leggi”, la legge esprime una generalità, una regolarità statistica; la seconda “si ha quando si stabiliscono le connessioni, incomincia cioè con la deduzione delle leggi”; la terza consiste nella “costruzione di un “modello” adeguato ai fatti e tale che sia possibile mettere le trasformazioni deduttive in corrispondenza con trasformazioni reali”. Esso corrisponde alla “proiezione dello schema logico-matematico nella realtà, e consiste così in una rappresentazione completa che ritrova nel reale modi di composizione o di trasformazione esprimibili nei termini di questo schema”. In che cosa consiste, dunque, la spiegazione scientifica? Essa può essere descritta seguendo il modello, cosiddetto, Hempel-Oppeneheim :

  • Explanans Ipotesi di legge (una o più) Condizione (i) Antecedente (i) Explanandum Proposizione (i) Esplicata (e).

L’explanandum, cioè le proposizioni da esplicare, deve essere deducibile dall’explanans, cioè dalle proposizioni esplicanti. L’explanans deve contenere le ipotesi di legge e le indicazioni che vengono realizzate antecedentemente e contemporaneamente all’evento da esplicare. Per lo schema Hempel-Oppeneheim, quindi, la spiegazione deve rispettare i seguenti canoni:

  • ‘explanandum deve essere una conseguenza logica dell’explanans;
  • il contenuto dell’explanans e dell’explanandum deve essere di natura empirica;
  • le proposizioni che costituiscono l’explanans devono avere il carattere di ipotesi di legge e devono essere verificate

Questo modello ammette le seguenti variazioni:

  • se le leggi sono costituite da causali rigorose, vuol dire che la spiegazione si deduce dal suo carattere di regolarità (lettura deduttivo-nomologica del procedimento esplicativo). In questo caso il modello ha la funzione di spiegare, prima di tutto, il perché certe cose sono accadute e, secondariamente, perché ci si doveva aspettare che accadessero.
  • se le leggi sono costituite da relazioni di probabilità tra causa ed effetto e sono ricavate statisticamente, la validità della spiegazione dipende dal suo grado di probabilità (lettura induttivo-probabilistica della spiegazione). In questo caso, il modello spiega, prima di tutto, perché ci si doveva aspettare le cose che sono accadute e, secondariamente, perché sono accadute.

Si distingue dalla paura, in quanto lo stimolo ansiogeno non è fisicamente presente.

Hempel scrive che: “possiamo distinguere le spiegazioni nomologiche-deduttive da quelle probabilistiche dicendo che le prime effettuano una sussunzione in base a leggi di forma universale, le altre una sussunzione induttiva in base a leggi di forma probabilistiche”. L’identità strutturale tra spiegazione e previsione, la convinzione, cioè, che una spiegazione scientifica, in generale, corrisponda ad un meccanismo di previsione dei fenomeni spiegati, rappresenta uno dei punti più, discussi della filosofia della scienza. Scrive Wright ” E dubbio che tutte le spiegazioni causali si conformino veramente con lo schema Hempeliano. Ci si potrebbe chiedere, inoltre, se tale schema riesca veramente a sostenere il peso di una spiegazione nel casi in cui le leggi generali non sono causali”. La spiegazione così intesa, certamente, nega il potere previsionale delle spiegazioni che rispondono alla domanda: come? Eppure sono utili per le “retrovisioni”. Questo tipo di spiegazioni possono essere usate a scopi previsionali in modo “indiretto” : “Se conosciamo le condizioni necessarie di un fenomeno, eleminandole o semplicemente osservando che sono assenti, possiamo prevedere che il fenomeno in questione non si ripresenterà” (Whigt G.H.).

La critica di Adolf Grunbaum

Il problema della suggestione è, attualmente, d’importanza decisiva per lo statuto epistemologico della psicoanalisi e rappresenta la punta di diamante della critica positivista. “Anni or sono introdussi l’espressione “effetto Edipo” per descrivere l’influenza che una teoria, un’aspettazione o una previsione esercitano sull’evento che essa prevede o descrive” e da E. Nagel: “V’è comunque qualche fondamento per sospettare che le interpretazioni siano spesso imposte a dati essi stessi prodotti dal metodo psicoanalitico” è diventato il fulcro della critica alla psicoanalisi fatta da A. Grunbaunm: “Quando Popper dice che essa non è scienza vuole sostenere che è empiricamente non falsificabile da qualsiasi comportamento possibile. Ma quando io affermo che, almeno relativamente all’evidenza clinica disponibile, la psicoanalisi è una cattiva scienza, voglio sostenere invece con chiarezza che essa è empiricamente mal suffragata da questa evidenza”. Grunbaum, rovesciando la tesi popperiana del falsificazionismo, che esclude la psicoanalisi dalle scienze empiriche, e ritenendo che l’induttivismo sia regolato da criteri più stretti di quelli popperiani, arriva a sostenere che la psicoanalisi non è “scienza”. Partendo da queste posizioni il filosofo diventa l’acerrimo nemico e, paradossalmente, come Caplan lo definisce, l’amico più utile della psicoanalisi. È opinione di Grunbaum che la considerazione della seduta analitica come arena per eccellenza della ricerca psicoanalitica, ha fatto sì che Freud e i suoi seguaci considerassero superflui i controlli empirici. Tuttavia, la possibilità che i dati ottenuti sul lettino fossero influenzati dalla tendenza del paziente a soddisfare le aspettative dello psicoanalista, che così si autorealizzano, è un problema che Freud aveva considerato. Egli era cioè consapevole della possibilità che “la suggestione costituisca il fattore decisivo della sua terapia e al tempo stesso il difetto fatale del metodo di indagine psicoanalitico” e, per superare tale difficoltà, elaborò un postulato centrale che Graunbaum chiama “argomento della coscienza”. In base a tale argomento, un successo terapeutico effettivo, che consiste nella ristrutturazione intrapsichica della personalità e la completa remissione dei sintomi, è possibile solo se il paziente riesce ad avere una corretta visione delle cause inconsce della sua nevrosi, tramite l’interpretazione ed il trattamento proprio del metodo psicoanalitico. Da ciò, consegue che le interpretazioni psicoanalitiche delle cause inconsce del comportamento dei pazienti guariti non hanno semplicemente suggestionato i soggetti, ma “corrispondono” a ciò che avveniva realmente in essi; consegue, inoltre, che solo il trattamento psicoanalitico può produrre guarigione e non esiste la necessità di fare confronti con gruppi di controllo o con altre scuole psicoterapeutiche. Secondo Grunbaum, però, l’argomento della concordanza non può essere accettato perché numerosi studi extraclinici hanno dimostrato la falsità delle sue premesse, per cui il problema della suggestione resta. I tentativi di dimostrare che i risultati positivi, ottenuti con il trattamento psicoanalitico, siano maggiori rispetto a quelli che si ottengono mediante trattamenti alternativi o, addirittura, senza trattamento, sono falliti. Sono falliti anche i tentativi di dimostrare una qualche superiorità della psicoanalisi rispetto ad altre terapie, nelle quali la presa di coscienza (insight) non riveste alcuna funzione. Ciò ha indotto, di fatto, ad interpretare i risultati terapeutici della psicoanalisi come “effetto placebo” e non come conseguenza della presa di coscienza delle proprie dinamiche inconscie. Grunbaum critica, inoltre, il ruolo eziologico della rimozione: “….. non necessariamente tale eliminazione disgiunta dei sintomi è causata dall’emergere delle rimozioni; essa può essere tutto sommato dovuta all’effetto placebo generato dalla consapevolezza del paziente che il terapeuta sta cercando di scoprire un episodio traumatico connesso al sintomo”. L’irrilevanza causale è confermata anche dall’analisi dei lapsus, delle associazioni libere e dell’interpretazione dei sogni, come fonti di dati clinici. La tesi freudiana dei lapsus, che sono frutto dell’allentarsi delle difese, osserva Grunbaum, è fondata solo sul modello del sintomo come formazione di compromesso e che la scoperta delle rimozioni, attraverso la libera associazione, nell’interpretazione dei lapsus, non può essere considerata come causale fino a quando non viene dimostrata caso per caso. Esistono, infatti, convincenti spiegazioni alternative delle paraprassi. La loro spiegazione freudiana, invece, risulta essere generica e non dimostra alcuna connessione causale. L’interpretazione freudiana dei lapsus, inoltre, si fonda sul metodo delle libere associazioni: “anche se tutti i lapsus fossero realmente causati da rimozioni, tuttavia Freud non ci fornisce buone ragioni per ritenere che i suoi metodi clinici siano idonei ad indentificare e confermare empiricamente tali cause, non importa quanto siano interessanti le associazioni “libere” suscitate”. Ma fino a che punto sono libere le associazioni libere? Il filosofo si chiede: se si consentisse ad un paziente intelligente e ricco di immaginazione di fare associazioni libere per un tempo abbastanza lungo, prima o poi il procedimento associativo potrebbe giungere ad ogni genere di contenuto tematico, del quale egli non è consapevole. Come può, allora, l’analista evitare di fare una selezione di fronte alla varietà tematica delle associazioni? Occorre, evidentemente, rinvenire un criterio che indichi il momento in cui deve essere interrotta la catena associativa. Lo psicoanalista può, addirittura, influenzare le associazioni di idee inconsapevolmente, con atteggiamenti o espressioni che incoraggiano a continuare per una via o per un’altra o ad arrestarlo. Anche l’interpretazione del sogno come le altre fonti di dati clinici non è affidabile. La sua inattendibilità si fonda sull’uso del metodo delle libere associazioni. In conclusione Grunbaum afferma che: “Fintanto che le prove a favore del corpus psicoanalitico dipendono dai dati ricavati nel corso del trattamento, il sostegno è considerevolmente debole. In relazione alle debolezze metodologiche dell’indagine psicoanalitica clinica, un appropriato controllo delle ipotesi centrali di Freud richiede studi extra clinici ben progettati. Malgrado la povertà del suo sostegno clinico, si potrebbe ancora pensare che la brillante immaginazione teorica di Freud sia stata in realtà capace di fare casualmente felici scoperte per qualche aspetto esatte”.

Ermeneutica e Psicoanalisi

Contrapposta alla visione positivistica della scienza, l’ermeneutica si pone come teoria o filosofia dell’interpretazione del significato. Essa respinge il monismo metodologico del positivismo e nega che il modello di comprensione della realtà sia quello fornito dalle scienze esatte, naturali: esiste una dicotomia tra le scienze esatte, come la fisica, che mirano a generalizzazioni riguardo a fenomeni riproducibili, e quelle scienze, come la storia, che mirano, invece, ad individuare le caratteristiche uniche dei propri oggetti. L’ermeneutica attacca, inoltre, la concezione positivistica della spiegazione, alla quale contrappone la comprensione. Scrive Droysen: “La storia porta a coscienza ciò che noi siamo e ciò che possediamo: la nostra esistenza non è un mero “mutamento metabolico”; noi partecipiamo bensì ad una “seconda creazione” quella di un “mondo etico” . Droysen risponde così ai positivisti che cercano di trasformare la storia in scienza attraverso l’introduzione di metodi quantitativi, che vorrebbero ridurre il cambiamento storico ad effetti quasi causale di fattori esterni. Queste idee metodologiche sulla comprensione furono sviluppate sistematicamente da W. Dilthey. Egli usò il termine GEISTESWISSENSCHEFTEN, scienze dello spirito, per indicare l’intero dominio del metodo della comprensione e chiamò “esegesi o interpretazione” la metodologia di quest’attività divenuta famosa come ermeneutica”. Secondo questo metodo, l’analisi dell’intendere (Verstehen) permette di capire come si possono trasporre dei significati creati da altri all’interno della comprensione che si ha di se stessi e del proprio mondo, tendendo alla creazione di una conoscenza oggettiva. Gadamer trasforma l’ermeneutica in filosofia del linguaggio: l’esperienza ermeneutica sarà “dialogica” cioè spiegata sul modello del discorso umano, che può essere interpretato come un testo, poichè in entrambi i casi si ha una “fusione di orizzonti”. Medium di tale fusione è il linguaggio, elemento strutturale dell’interpretazione e, quindi, della stessa comprensione. Le assunzioni di Diltey e di Gadamer riassumono la posizione della teoria “ermeneutica esegetica” e quelle della “filosofia ermeneutica”. Esse sono contestate da Habermas ed Apel perché idealistiche e perché non considerano i fattori extra linguistici, come il lavoro o il dominio, che contribuiscono a formare il contesto del pensiero e dell’azione. Su queste basi, Habermas e Apel teorizzano la cosiddetta “ermeneutica critica”, le cui fondamenta si ritrovano nella combinazione di un approccio metodologico oggettivo con il tentativo di raggiungere una conoscenza dotata di rilevanza pratica. La comprensione e la comunicazione sono possibili soltanto facendo riferimento alle contingenze empiriche che stanno alla base dei processi intellettuali; la realtà va cambiata oltre che interpretata. La critica guidata dal principio della ragione è essenzialmente autoriflessiva e liberatoria. Di questo avviso è anche Lorenzer che, pero, rispetto ad Apel e Habermas, assegna maggiore importanza alla costellazione storico sociale concreta, sotto la quale viene acquisito il significato. La psicoanalisi, per questi teorici, diventa il modello di una scienza emancipatrice, cioè una scienza che sia momento di riflessione dei processi individuali e sociali, e che li renda trasparenti agli attori in essi coinvolti, consentendo, così, il loro ulteriore sviluppo, nel pieno possesso della loro volontà e coscienza. K.O. Apel, in special modo, considera la psicoanalisi come una scienza sociale contenente in sè una duplicità metodologica; il suo oggetto, infatti, è preformato in maniera tale da incorporare momenti esplicativi e momenti interpretativi: la psicoanalisi, cioè, ha il carattere sia di scienza umana sia quello di scienza della natura. Come scienza della natura essa ha una considerazione distaccata dell’oggetto; tuttavia, la valutazione di un qualsiasi sintomo può essere compiuta solo partendo dalla sua “comprensione”: “L'”oggettivizzazione” e la “spiegazione” del suo comportamento (paziente) non erano quindi l’inizio di una scienza naturale del “comportamento” umano, bensì in fin dei conti soltanto una temporanea “estraneazione”, una quasi reificazione del senso comprensibile dell’esistenza, la quale era giustificata esattamente nella misura in cui l’uomo non era ancora trasparente a se stesso nella propria autocomprensione. In breve, la ‘spiegazione’ stava al servizio della ‘comprensione’ “. J. Habermas ritiene che il carattere fondamentale dell’ermeneutica psicoanalitica consiste nel fatto che, per conservare la possibilità della comunicazione intersoggettiva, il paziente manifesta dei sintomi, rendendo inaccessibile a se stesso il linguaggio ed i motivi ad esso legati. Proprio per superare i disturbi della comunicazione con se stesso è necessario un’interprete che insegni al soggetto a comprendere il proprio linguaggio, mediante un processo di autoriflessione. Attraverso l’esperienza dell’autoriflessione, le intenzioni nascoste si trasformano da “motivi consci” in “cause”. L’agire comunicativo viene sottoposto a rapporti di causalità naturali, che Habermas chiama “causalità del destino” poiché “domina con i mezzi simbolici dello spirito” e che perciò è diversa dalla causalità naturale. Di qui nasce “l’autofraintendimento scientistico” della psicoanalisi: Freud pensò di aver fondato una scienza della natura, invece fondò una scienza umana. questo vuole anche dire che le interpretazioni psicoanalitiche non possono essere verificate come quelle delle scienze sperimentali, cioè mediante l’osservazione controllata, ma neanche con il successo della comunicazione, come nell’ermeneutica filosofica; possono esserlo, invece, scrive Habermas “sulla base della riuscita continuazione di un processo di formazione, nel senso però dell’attuata autoriflessione e non inequivocabilmente in ciò che il paziente dice o in come si comporta”. A. Lorenzer, come Habermas, utilizza la psicoanalisi come un modello per una critica del soggetto, trasformandola, pero, da teoria della comunicazione a “teoria materialistica della socializzazione” e come tale si interessa delle forme di interazioni distorte che generano sofferenze agli individui che ne sono affetti. La psicoanalisi è un processo ermeneutico completamente estraneo ad ogni “riconoscimento nomologico” e la comprensione psicoanalitica avviene in tre momenti. Il primo è quello della comprensione logica, che diventa evidente quando l’analista riesce a cogliere la forma linguistica corretta, cioè “significativa”. In un secondo momento l’analista rivolge la propria attenzione alle descrizioni della realtà psicologica del paziente e questo è, appunto, il momento della comprensione psicologica della psicoanalisi. L’analista considera, a questo punto, non solo la comunicazione verbale, ma anche quella non verbale, il cui significato diviene certo quando viene inserito nel contesto di una “azione drammatica” che permette di raggiungere l’evidenza delle emozioni. È solo nell’ultimo momento, quello della “comprensione scenica” che si può arrivare alla realtà dell’inconscio, nel quale la psicoanalisi trova il suo fondamento epistemologico. Lorenzer chiama le rappresentazioni inconsce freudiane “stereotipi” o “clichè” e ritiene che il comportamento da esse determinato può essere compreso soltanto attraverso la partecipazione diretta ad una scena drammatica, nella quale gli individui interagiscono. L’interazione tra paziente ed analista permette la comprensione psicoanalitica, garantita dal transfert e controtransfert: “La comprensione scenica si svolge in modo analogo a quella logica e al rivivere: diviene certa nell’analista mediante un’esperienza vissuta di evidenza. Come la comprensione logica si radica nella ricezione formale della proposizione, così quella scenica si radica nella comprensione della ‘scena’ “. P. Ricoeur, nell’ambito dell’ermeneutica, assume un ruolo di mediatore tra le diverse posizioni, che cerca di integrare in un quadro concettuale più ampio: l’ermeneutica fenomenologica. Lo sforzo unificatore fa riconsiderare anche la psicoanalisi che è vista, così, come discorso “misto”, essa è situata tra ermeneutica ed esegetica: “l’opposizione pura e semplice del motivo e della causa non risolve il problema epistemologico posto dal discorso freudiano: questo è regolato da un tipo d’essere che sta al di fuori di questa serie di concetti che denomino semantica del desiderio; è un discorsi misto, che cade al di fuori dell’alternativa motivo-causa”. Elemento fondamentale dell’esperienza psicoanalitica è la parola. Essa traduce i sintomi, i sogni, le pulsioni, in significati; la parola dà il senso a fatti descrivibili in modo esteriore, ma sempre mediati dai soggetti: “La condotta, quindi, non è per l’analista neppure una variabile dipendente, osservabile dall’esterno, ma l’espressione dei cambiamenti di senso della storia del soggetto, quali riaffiorano nella situazione analitica… in psicoanalisi non vi sono fatti, perchè in essa non si osserva, ma si interpreta” . Nonostante la natura “mista” della psicoanalisi Ricoeur afferma che il suo statuto epistemologico assomiglia più alla storiografia che alle scienze naturali. Scrive l’autore: “L’esperienza analitica assomiglia molto di più alla comprensione storica che alla spiegazione naturale” e ancora “… in psicoanalisi non ci sono i “fatti” nel senso delle scienze sperimentali. Per questo motivo la sua teoria non è una teoria, nel senso in cui lo sarebbe per esempio la teoria cinetica dei gas o la teoria dei geni in biologia”.

Conclusioni.

Il dibattito epistemologico sulla psicoanalisi non è esaurito dall’esistenza delle due prospettive considerate nel corso di questo lavoro, cioè quella neopositivista e quella ermeneutica; esse, infatti, non riescono ad assegnare con sicurezza alla disciplina un posto, nell’ambito della scienza, creando disagio tra gli psicoanalisti e confermando, in qualche modo, quanto Freud scrisse in una lettera a Jung : “ho dei dubbi circa il modo con cui Fraulein Spielrein cerca di sottomettere il materiale psicologico a criteri biologici. Questa subordinazione è altrettanto riprovevole di una sottomissione alla filosofia, alla fisiologia e alla anatomia cerebrale. La psicoanalisi sarà una cosa a sé”. Se si considera, però, che le difficoltà epistemologiche della psicoanalisi derivano, come scrive Schoph, dal fatto che essa è una disciplina collocata “a metà strada tra approccio somatico e approccio psichico, tra medicina e psicologia” e che tali difficoltà sono aggravate dal fatto che “all’interno dello stesso ambito psichico, assume una posizione intermedia tra psicologia dell’esperienza da un lato, e psicologia dell’inconscio dall’altro” si comprende bene come la psicoanalisi possa occupare un posto intermedio tra il positivismo logico e la ermeneutica. Scrive Schoph : “Così come non la si può far coincidere con l’osservazione comportamentale, essa non può nemmeno corrispondere alla semplice comprensione di azioni comunicative secondo il senso dell’ermeneutica. in quanto forma di indagine che è indissolubilmente legata all’attività terapeutica, essa si distingue da un lato per il fatto che tende a cercare di concepire il senso escluso, alternativo. In questo somiglia all’ermeneutica e può essere definita “ermeneutica del profondo”. Ma, poichè d’altro canto questo senso è accessibile solo attraverso il confronto terapeutico con la resistenza e la sua elaborazione effettiva, l’indagine tipica della psicoanalisi differisce dall’ermeneutica e si avvicina per questo aspetto alla concezione behavioristica delle condizioni obbligate del comportamento”. Oppure, si può sostenere che la psicoanalisi non è una scienza naturale, ma “non è neppure una scienza sociale, né una scienza umana, bensì una combinazione delle tre. E questo non perché Freud si sia trovato ad attraversare diversi settori di ricerca intellettuale, ma semplicemente perché egli era uno psicologo: e la psicologia, se l’oggetto della sua indagine è l’uomo e non una serie di variabili isolate, è costretta dai risultati stessi delle sue ricerche, laddove questi siano portati fino alle loro logiche conclusioni, ad impiegare livelli differenti di discorso, anche quando essi non sono compatibili fra loro”. Nella valutazione epistemologica della psicoanalisi è, dunque, impossibile assumere una prospettiva esclusivamente ermeneutica o esclusivamente positivistica, in quanto entrambe contengono motivo di vero, che l’una fa valere dialetticamente sull’altra. È molto importante, invece, considerare e problematizzare questo suo essere “a metà strada” tra le due tendenze. In quest’ottica, la tesi di Grumbaum, considerato come il maggiore esponente del neopositivismo, in base alla quale la psicoanalisi ha la necessità di una giustificazione extra-clinica, e la tesi di Ricoeur, che riassume la posizione ermeneutica, secondo la quale i problemi di verifica della psicoanalisi devono essere impostati come problemi di storiografia o esegesi, allontanandosi il più possibile da ogni impostazione che si ispiri alle scienze naturali, possono rappresentare le “due facce della stessa medaglia”, piuttosto che due tesi escludentesi a vicenda. Un punto di vista simile è sostenuto da M. Buzzoni, per il quale la prospettiva neopositivistica e quella ermeneutica sono viziate da una antinomia interna, che l’autore definisce “antinomia epistemologica della psicoanalisi” (della quale tali prospettive costituiscono i poli). Per quanto riguarda il primo polo, L’autore scrive, riferendosi al Grunbaum: “I principali controlli extra-clinici su cui secondo Grunbaum si fonda la controllabilità empirica (ed eventualmente la dimostrazione della verità) della psicoanalisi presuppongono a ben vedere, paradossalmente, quella stessa attendibilità dei dati cliniche egli ha così decisamente negato, e dalla sua negazione, anzi, egli ha fatto discendere proprio la necessità dei controlli extra-clinici. Il controllo extra-clinico e statistico della efficacia della terapia psicoanalitica e della necessità dell’insight affinché abbia luogo una guarigione effettiva (il controllo cioè delle due fondamentali premesse dell’ “argomento della corrispondenza”) non può certamente avvenire prescindendo completamente dai risultati ottenibili tramite il metodo clinico freudiano, poichè è evidentemente soltanto all’interno della seduta psicoanalitica che può essere accertato se siano o no avvenuti sia la guarigione sia l’insight del paziente”. Ma tale antinomia può anche esprimersi diversamente. Continua a scrivere Buzzoni: ” Il carattere epistecamente contaminato dei dati clinici si fonda sul fatto che le premesse dell’argomento mediante cui Freud ha cercato di negare queste tesi sono state empiricamente dimostrate false da studi che hanno applicato metodi extra-clinici, senonché, paradossalmente proprio questi studi presuppongono, già come condizione della loro possibilità, l’uso e la validità dei metodi clinici. l’asserzione secondo cui soltanto i metodi extra-clinici di controllo sono validi implica insomma l’asserzione, con essa contraddittoria, che anche i metodi clinici sono validi”. Il secondo polo dell’ antinomia epistemologica della psicoanali Extra-clinica; questi due tipi di controllo, collocati in una posizione di “connessione intrinseca e reciproca”, permettono di affermare che la psicoanalisi è tecnicamente ed operativamente controllabile. Buzzoni, però, sottolinea che il suo lavoro rappresenta un momento di riflessione filosofica e che in quanto tale, ha cercato di “porre e di risolvere la questione di diritto delle condizioni di possibilità della psicoanalisi come scienza” e se anche il criterio tecnico operativo ha fornito una risposta affermativa alla suddetta questione ” deve rimanere interamente demandata allo scienziato al lavoro la questione di fatto se tale condizione sia anche effettivamente soddisfatta, in quale misura lo sia eventualmente stata o se potrà esserlo in futuro, a pena di confondere indebitamente questione di fatto, filosofia e scienza”. La connessione tra teoria e applicazione tecnica, requisito fondamentale che attribuisce alle scienze sperimentali il carattere di rigore, d’intersoggettività e di oggettività, in psicoanalisi può essere dimostrata soltanto precisando le condizioni di possibilità del controllo tecnico terapeutico. Nella prassi psicoanalitica è necessario, prima di tutto, fornire una definizione puntuale del concetto “Terapia”. Esso ha, infatti, un carattere generale, che comprende, certamente, una serie di conseguenze pratiche per la vita del paziente, ma che rende difficile definire il suo obiettivo, anche quando quest’ultimo fosse inteso semplicemente come cura dei sintomi. Nel costruire la suddetta definizione bisogna evitare “la confusione tra una questione scientifica e positiva ed una filosofica di principio. Ciò che il nostro discorso deve indicare non è certamente una definizione sotto ogni punto di vista adeguata della terapia psicoanalitica, ma la funzione che essa deve svolgere in un discorso scientifico e le condizioni che essa deve soddisfare per poter appartenere di diritto a questo tipo di discorso. Una delle condizioni di ogni controllo tecnico operativo della realtà è la possibilità di prevedere i fenomeni secondo determinate leggi di comportamento. Ciò per la psicoanalisi è molto importante. La tecnica psicoanalitica è continuamente diretta da tentativi di previsione delle reazioni del paziente; essa consente anche la retrodizione di eventi dimenticati dall’analizzando e comporta la previsione del fatto che, adottando determinati procedimenti, certi disturbi del comportamento vengono eliminati. Condizione scientifica necessaria della previsione, della spiegazione e del controllo tecnico è la repetibilità dei sistemi che le teorie si pongono come loro oggetto; in psicoanalisi può esserlo solo se si assume una connessione intrinseca tra le dinamiche dei sistemi inconsci e le loro manifestazioni oggettive e intersoggettivamente controllabili nei sistemi. La parziale oggettivizzazione dei fenomeni psicoanalitici, ad esempio del transfert, della coazione a ripetere, permette un basso grado di quantificazione, ma sufficiente poiché praticamente inutilizzabile dall’analista per portare avanti la terapia e stabilire quando essa abbia raggiunto la sua meta. Su questo aspetto pubblicamente controllabile dell’oggetto psicoanalitico si fonda la possibilità di applicare in psicoanalisi il controllo tecnico operativo ed è in esso che trovano giustificazione i tentativi di operazionalizzare il linguaggio psicoanalitico. “Se si abbandona il pregiudizio empiristico, inteso nel senso d’una concezione filosofica surrettiziamente presupposta alla ricerca scientifica, non v’è motivo per rifiutare alla psicoanalisi una prospettiva operazionistica la quale richiede che i principi psicoanalitici siano in linea di principio confermabili o verificabili, cioè suscettibili d’esser correlati in modo significativo col controllo tecnico operativo fornito dal comportamento del paziente”. La differenza di statuto tra le proposizioni mediante le quali vengono formulate le spiegazioni o le previsioni nelle scienze naturali, in psicoanalisi e nelle altre scienze dell’uomo è evidente. Come insegna, infatti, la corrente ermeneutica quest’ultime sono caratterizzate da una dimensione culturale e linguistica, che si esprime nella irriducibilità delle intenzioni, dei motivi o dei fini alle cause intese in senso naturalistico e che ha la propria radice nella irriducibilità della libertà umana al mondo naturale. “Dal fatto che in psicoanalisi non sia possibile ammettere forma di spiegazione o di previsione che, nella loro struttura logica, differiscano da quelle delle scienze sperimentali della natura, e dal fatto che è legittimo estendere alla psicoanalisi il loro uso per via dell’esistenza di sistemi ripetitivi, non si può legittimamente concludere che lo statuto epistemologico della psicoanalisi e più in generale delle scienze umane sia identificabile sotto ogni aspetto con quello delle scienze naturali. Anzi, le regolarità accertate nelle scienze umane non sono materialmente visibili, sono, cioè, inesistenti in natura, accertabili empiricamente solo se vi siano persone che ne riattualizzino l’esistenza. La validità delle asserzioni di regolarità concernenti il mondo umano, perciò, a differenza delle leggi naturali, può essere, in linea di principio, in ogni momento posta in discussione, o venire addirittura annullata dai soggetti per cui essa è enunciata. Questo non vuol dire che in psicoanalisi non esistono dei sistemi ripetitivi che consentano l’uso della spiegazione, della previsione e del controllo tecnico operativo come accade nelle scienze naturali, poiché la possibilità che “le regolarità asserite nelle scienze umane siano sospese dal volere delle singole persone è in realtà l’altro aspetto della dipendenza di fatto di queste ultime dalle prime, una dipendenza che è sufficientemente stabile da consentire il formarsi di una scienza sociologica, psicologica, archeologica, etnologica ecc…, ma che, non essendo assoluta, non rende impossibile che gli uomini possono discostarsi in qualche misura dalle regolarità della loro vita culturale e quindi che essi possono costantemente modificarle, migliorale o addirittura in alcuni casi (tra cui rientra senz’altro la psicoanalisi) sospenderne completamente o quasi completamente l’efficacia”. I comportamenti delle persone sono, infatti, il prodotto di azioni anteriori compiute da altri, sono eredità storica, o compiute dalla persona stessa nel momento in cui entra in relazione con gli altri. esiste, quindi, una distinzione tra “realtà naturale, soggettività in atto e soggettività decantata storicamente o culturalmente” ed è in questa divisione che l’individuo regola le proprie decisioni attuali o azioni future, sottraendosi in maniera trascurabile alle regolarità dei comportamenti che gli individui mettono in atto, rendendo possibile la loro sussunzione sotto leggi generali psicologiche, sociologiche etc… Per quanto riguarda la psicoanalisi sono stati proprio i maggiori rappresentanti della tendenza ermeneutica ad individuare nell’inconscio una realtà che, per quanto si comporti in modo analogo agli enti naturali rimane esclusivamente umana. Questi, una volta riconosciuto che l’inconscio è costituito da regolarità, nate dalla stessa attività del soggetto ma sfuggenti al suo diretto controllo, svalorizzano gli argomenti che fanno dedurre la possibilità di estendere i metodi delle scienze naturali alla psicoanalisi perchè fondati su una diversità dell’oggetto di indagine, incorrendo, secondo Buzzoni, in un errore grossolano. Questi non condivide, infatti, l’argomentazione di Lorenzer, secondo la quale è illegittimo estendere metodi delle scienze naturali alla psicoanalisi, in quanto le prime possono procedere in modo ipotetico deduttivo perché isolano un aspetto di un fenomeno dal resto della prassi sociale e possono considerarlo un sistema chiuso al contrario della seconda; in questo senso la psicoanalisi è ermeneutica, poiché i processi ermeneutici non possono essere separati da una prassi comprensiva che istituisce un circolo ermeneutico tra teorie e fatti. Buzzoni, invece, afferma che da un punto di vista epistemologico non c’è differenza tra psicoanalisi e scienze della natura che “non sia una mera differenza di grado: anche in queste ultime, a rigore, è impossibile costruire sistemi perfettamente isolati (o procedere alla quantificazione) senza apportare opportune assunzioni idealizzanti nei confronti della realtà fisica” – continua – “se si ammette che la seduta psicoanalitica può astrarre metodicamente dal momento storico complessivo della società, perchè si danno delle costanti di comportamento che possono essere indagate e sfruttate operativamente come se costituissero un sistema chiuso, allora non v’è più motivo di escludere la possibilità in linea di principio di adottare gli schemi di previsione e spiegazione usati nelle scienze naturali, pur nella consapevolezza che il diverso oggetto cui essi sono applicati comporta una particolare provvisorietà di questa stessa applicazione che si aggiunge in modo qualitativamente a quella propria dell’applicazione di questi schemi al mondo naturale”. Il problema della spiegazione, dunque, riporta immediatamente a quello delle cause. Gli autori della corrente ermeneutica hanno insistito sull’importanza centrale che rivestono concetti quali intenzioni, motivi, scopi, in quanto contrapposti alle cause naturali in psicoanalisi. Questi hanno sostenuto che la comprensione del comportamento umano è stata ampliata dall’estensione dei suddetti termini al comportamento involontario, non cosciente, chiarendo, di fatto, come essi non possono essere impiegati allo stesso modo del comportamento cosciente. Il problema è stato affrontato anche dagli autori di ispirazione positivistica, i quali hanno sottolineato la differenza tra ragioni coscienti e motivazioni inconsce ed hanno creato, così, una contrapposizione epistemica tra comprensione e spiegazione, tra motivo, ragioni, e cause che non risolve il problema dello statuto, del preciso significato che questi termini assumono nel contesto psicoanalitico. Altri autori hanno trovato una via intermedia tra le prime due tendenze cercando di dimostrare come la spiegazione secondo cause si trasformi in comprensione d’intenzioni coscienti. Buzzoni esprime il suo apprezzamento per quest’ultimi autori, ciò nonostante sente l’esigenza di precisare che il problema non si risolve con il passaggio dalla motivazione cosciente a quello della causalità. In questi casi, infatti, “ci si limita o a postulare la trasformazione d’una motivazione inconscia intesa in senso causale e naturalistico (suscettibile come tale di spiegazione), in una ragione intenzionale e pienamente consapevole (oggetto di possibile comprensione) oppure ad assumere sin dal principio l’esistenza d’una terza sfera ontologica, dove questa trasformazione sarebbe possibile ed anzi continuamente compiuta , senza tuttavia porre esplicitamente – com’è invece necessario porre – la questione, decisiva per lo statuto epistemologico della psicoanalisi, di come sia possibile questa trasformazione, di quali siano le sue condizioni di possibilità”. Appena la questione fosse posta ci si accorgerebbe come la riflessione sul problema evidenzi una contraddizione iniziale che si ripercuote poi sui passi successivi dell’argomentazione fino a chiarire che bisogna partire da un punto di vista diverso da quello della trasformazione della causalità naturale in intenzionalità libera. Tutto ciò farebbe presupporre che non c’è nessun passaggio ontologico da una realtà naturale ad una culturale e viceversa, bensì un passaggio da una razionalità vissuta in prima persona ad una razionalità decaduta a ripetizione, a quasi automatismo. Bisogna, allora, chiedersi: “non a quali condizioni un motivo può trasformarsi in una causa e viceversa, bensì a quali condizioni ed entro quali limiti un motivo può agire come se fosse una causa, e dunque, riformulando la stessa domanda a livello epistemologico, a quali condizioni ed entro quali limiti i modelli causali usati nelle scienze della natura possano essere applicati alle motivazioni che guidano l’agire umano”. La risposta al quesito l’autore la trova nel fatto che l’inconscio, in quanto costituito da regolarità prodotte dalle ripercussioni dell’attività umana, da motivazioni che più sono lontane dalla coscienza piena più possono essere considerate come se fossero cause; infatti, la distanza dalla coscienza fa acquisire loro i caratteri propri, appunto, delle cause naturali, della ripetività e della controllabilità intersoggettiva. Seguendo questo ragionamento, l’agire umano guidato da motivi inconsci può essere spiegato mediante gli stessi schemi esplicativi e previsionali delle scienze empiriche, anche se bisogna sempre ricordare che il nesso sussistente tra motivazione inconscia e agire sottoposto a coazione non è identico al nesso naturale causa causa-effetto; esso, infatti, può essere annullato dal soggetto agente che può invalidare le proposizioni inserite nel modello deduttivo e inficiare la relativa previsione o spiegazione. La possibilità di spiegare e di prevedere basata su connessioni di significato analoghe a quelle della realtà naturale presuppone un atto di comprensione fondamentale per la psicoanalisi e in generale per tutte le scienze dell’uomo. “Le regolarità che costituiscono il fondamento delle spiegazioni e delle previsioni, infatti, sono sorte sulla base di motivazioni originariamente vissute in modo cosciente, e benchè queste motivazioni nel comportamento soggetto alla coazione a ripetere siano soddisfatte soltanto in modo indiretto o sostitutivo, esse debbono comunque anzitutto essere comprese in se stesse, nel senso che dobbiamo poterle rappresentare come fini, ragioni o motivazioni possibili per la nostra stessa condotta”. La relativa costanza delle regolarità della vita umana permette una conoscenza di tipo scientifico e rende possibile costruire delle strutture ripetibili, applicando particolari procedimenti d’indagine a quei prodotti dell’attività umana che si contraddistinguono per il fatto di obbedire a connessioni sufficientemente costanti tra significati. I prodotti del fare o del pensare umano, scrive Buzzoni, “possono essere assunti, solo se sono frutto di un progetto, di uno scopo che potremmo fare nostro, se si vuole avere la consapevolezza della natura del proprio oggetto di indagine, e la comprensione rappresenta a rigore soltanto la condizione suprema della costituzione del campo delle scienze umane in quanto tali (…) non costituisce invece un oggetto o un metodo positivamente determinato della ricerca scientifica, che deve all’opposto occuparsi della sua controparte, cioè del fissarsi di questi progetti o scopi in connessioni stabili del pensare e dell’agire- ed in quest’ottica, continua l’autore – “Si potrebbe affermare che nel processo terapeutico si assiste ad un passaggio da un comportamento iniziale che non è né comprensibile né spiegabile ad un comportamento finale che è sia comprensibile sia spiegabile, precisando però che la possibilità di spiegazione /e di previsione) infine raggiunta è soltanto relativa all’esistenza di connessioni di significato che in linea di principio possono essere sospese nella loro validità (o più probabilmente modificate) appena saranno rese note al paziente, anche se di fatto possono continuare per lungo tempo ad esercitare la loro efficacia e consentire (anche allo stesso paziente) spiegazioni e previsioni concernenti i suoi comportamenti”.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La cura dello psicologo, dello psichiatra e degli operatori di salute mentale . Farmacologia e Psicoterapia a confronto.

Per approfondire consiglio la visione dei video su youutube

Chiamami con Whatsapp

0Shares

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

far cambiare idea

È possibile far cambiare idea ?

La Sfida del Cambiamento di Opinione Ad ognuno di noi probabilmente è capitato di voler convincere qualcuno che la …

empatia

L’Empatia: Il Collante Sociale per un Mondo Migliore

Introduzione Nell’era delle divisioni e dei conflitti, la ricerca psicologica sottolinea l’importanza cruciale …

amicizia platonica

L’importanza delle amicizie platoniche

Introduzione Nella nostra cultura, il romanticismo è spesso considerato l’apice delle relazioni umane. Tuttavia, …